ANPI Viadanese, sabato trasferta al rifugio Mariotti per ricordare i Caduti del Lago Santo

La cerimonia desidera valorizzare l’intervento di ripristino curato dal restauratore Stefano Volta, che è stato possibile grazie al contributo dell’Anpi Viadanese, a ricordo di Terenzio Mori “Flavio”, nato a Cogozzo di Viadana nel 1924.

Sabato 29 Agosto 2020, alle 11, saremo al Lago Santo parmense, al rifugio Mariotti, per una cerimonia laica, per non dimenticare la Verità sui 9 protagonisti della Battaglia che in quel luogo venne combattuta contro i nazifascisti”. A ricordare l’appuntamento è l’Anpi di Viadana. “Ricostituiti di recente, noi dell’Anpi viadanese affiancheremo i parenti di Terenzio Mori “Flavio”, l’Anpi di Parma, il ViceSindaco di Corniglio, la Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Parma e il Presidente del Cai. La cerimonia desidera valorizzare l’intervento di ripristino curato dal restauratore Stefano Volta, che è stato possibile grazie al contributo dell’Anpi Viadanese, a ricordo di Terenzio Mori “Flavio”, nato a Cogozzo di Viadana nel 1924″.

Riportiamo prima le parole di Mori Terenzio e quindi quelle di uno dei testimoni, Pietro Gnecchi: “Ritornammo al Lago Santo per attendere Ognibene con i suoi uomini e ci rifugiammo in una casa abbandonata in riva al lago. La sera stessa, invece dei nostri compagni, arrivarono i tedeschi e i fascisti con i quali si accese una battaglia che si protrasse per tutto il giorno successivo. Finalmente riuscimmo a sganciarci dagli assalitori e, dopo aver attraversato il Monte Orsaro, scendemmo verso Cerone dove riposammo in una casetta di sassi. Eravamo insanguinati, laceri e intirizziti; le piccole schegge delle bombe a mano ci avevano tagliuzzato gli abiti e la carne. Accendemmo un fuoco e ci stringemmo intorno per scaldarci; fu inutile, quel fuoco era troppo piccolo. Al mattino un sole splendido ci accompagnò fino a Cerone, dove gli abitanti ci diedero da mangiare”.

Terenzio Mori in “Questa gente e la Resistenza”, Comune di Viadana, 1986, invece ricorda: “Siamo partiti da Bosco di Corniglio e siamo arrivati al rifugio dopo tante ore di marcia, perché la neve era altissima… Era il pomeriggio del 18 marzo 1944… Dopo un po’ la guardia ci avvisa che siamo circondati dai fascisti e dai tedeschi… Hanno cominciato ad aprire il fuoco, e noi zitti, non ci facevamo vedere, perché avevamo poche munizioni. Rispondevamo ogni tanto con qualche pallottola, qualcuno lo abbiamo ferito o ucciso. Ci dissero di arrenderci, perché eravamo circondati. Ma Facio ci disse di stare zitti, con i fucili spianati. Ed è incominciata la fine del mondo. È stato un inferno. Hanno cominciato con le mitraglie, poi con le bombe a mano e sono entrati dalla porta del rifugio, in faccia al lago. Noi ci siamo ritirati nella cucina. Loro sono saliti al piano di sopra e hanno cominciato a sparare giù. Ci siamo salvati mettendoci sotto gli stipiti della porta della cucina. Lanciavano bombe a mano col manico, ma noi siamo riusciti a prenderne molte che non erano ancora scoppiate e a rilanciargliele contro… Facio ci dava coraggio, diceva: “Ragazzi, non abbiate paura, se dobbiamo morire moriamo tutti assieme” … Era una tomba, non c’era salvezza, non ci conoscevamo più in faccia l’un con l’altro, tanto eravamo sporchi, feriti dalle schegge, sfiniti. È stato Facio che ci ha aiutato a non ammazzarci, parecchie volte ci siamo puntati le armi per ammazzarci noi, piuttosto che farci ammazzare dai tedeschi. Io mi ero provato la rivoltella in bocca per vedere come fare, ma Facio ci urlava: “Coraggio ragazzi, saremo gli eroi per la libertà della patria”. Ci ha sempre salvati lui a noi. Abbiamo preso sempre più coraggio, più eravamo vicini alla morte più avevamo coraggio… I tedeschi e i fascisti, il pomeriggio del 19, se ne andarono lasciando la sorveglianza in alto, tornarono il giorno dopo con i rinforzi ma non ci trovarono. Siamo fuggiti camminando sul lago ghiacciato, poi ci gettammo in un burrone e prendemmo la via del monte Orsaro, pieno di ghiaccio, per rientrare nel pontremolese, a Pracchiola. Qui ci accolse e ci dette assistenza la gente del luogo, che noi salutammo con le armi in pugno”. La battaglia del Lago Santo divenne una leggenda. Un mito tra le genti delle valli, alimentato dai partigiani e dai notiziari degli alleati. I fascisti e i tedeschi erano più di ottanta, ebbero 16 morti e molti feriti. A leggere la vicenda, può sembrare inverosimile. Ma, a parte le testimonianze dei partigiani, c’è la fonte inoppugnabile del notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana, che omette però di dire che i partigiani erano solo nove. Quando lo seppero, mi racconta Pietro, un tedesco disse a Corniglio, così gli riferì una donna che era presente, che “se i nostri soldati fossero coraggiosi come quei nove la guerra la vinceremmo noi”.

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