LUCIA SARZI
Partigiana e attrice girovaga
Lucia Sarzi nasce la sera dell’otto novembre 1920 – cento anni fa - ad Acquanegra sul Chiese, in quella fetta di pianura mantovana che confina con il cremonese. Viene al mondo lì per caso, durante una tournée dei suoi genitori, un anno dopo il loro matrimonio.
In una stanza d’affitto che – se ancora esiste sotto nuovi intonaci – potrebbe trovarsi in due luoghi differenti. Le altre donne hanno il bozzolo, noi siamo le farfalle, mi dirà molti anni più tardi Gigliola, la minore dei fratelli Sarzi. Francesco, il loro padre, era nato a Mantova, figlio di un burattinaio di qualche cultura libresca – una leggenda domestica, non dimostrabile, sostiene che avesse studiato in seminario -, il quale, facendo capo alla città di residenza, percorreva con moglie e figli le campagne della bassa lombardo-veneta per esibirsi. Linda Bozzi, la madre, proveniva dalla provincia di Verona, figlia di una maestra elementare e di un sarto che dirigeva la banda musicale di Dossobuono. Anche lei praticava il teatro amatoriale, molto in voga - come i burattini, del resto - a quel tempo e in quelle contrade. Appena sposati, Francesco e Linda si gettano nell’avventura della recitazione, aggregandosi - a seconda della fortuna e delle circostanze - ad altri nuclei familiari di attori girovaghi. E’ in questo contesto che nasce Lucia, la primogenita. Un destino segnato. Sarà nomade. Capace di uscire dal tetto. Terrà le parole in altissimo conto. Vivrà con poco. Non avrà timore dei colpi di scena. Il repertorio dei Sarzi - con il quale Lucia familiarizza fin da piccolissima – comprende allora i drammi storici, religiosi e cavallereschi che le compagnie di giro rappresentavano sulle piazze fin dal secolo precedente. Il fornaretto di Venezia, Le due orfanelle, La passione di Cristo, Genoveffa di Brabante, Maino della Spinetta, Tosca, La signora delle camelie. I classici di Shakespeare, - Otello, Romeo e Giulietta, Amleto - la risorsa più sicura per gli artisti di piazza. E qualche commedia borghese di Dario Niccodemi, La maestrina e La nemica, per esempio. Ai tempi della nascita di Lucia, nulla sappiamo di certo circa l’orientamento politico di suo padre.
La famiglia di Linda era di esplicite simpatie fasciste, quella di Francesco militava nelle file cattoliche. Credo che l’insofferenza dei Sarzi verso il regime sia maturata poco per istinto prima ancora che per ragionamento. Eccentrici, fuori dalle righe per scelta esistenziale e per mestiere, gli attori girovaghi – e Francesco in particolare, dalla forte personalità istrionica - poco tolleravano la disciplina, il grigiore e il rigido controllo imposto dal fascismo. Si adattavano per necessità, ma sotto sotto covava in loro un atteggiamento ribelle e oppositivo. Quando Lucia abbia cominciato a recitare, è impossibile stabilirlo. Perché lei è cresciuta sulle assi del palcoscenico, e le parole della sua lingua nativa – apprese dalla madre prima ancora di venire al mondo – erano quelle del teatro.
La differenza fondativa di Lucia, rispetto alle coetanee provenienti dalla stessa, modesta classe sociale, consiste nella libertà, nella disinvoltura e nell’uso di mondo che il teatro le conferisce. I bambini Sarzi non frequentano un corso di studi regolare, ma la consuetudine quotidiana con i copioni da mandare a memoria e con le storie che rappresentano regala loro un sopramondo ricco, movimentato, emozionante, e il linguaggio fiorito che padroneggiano li rende attrattivi e carismatici. Molto più dei suoi fratelli, Lucia sarà per tutta la vita anche una lettrice appassionata. Da autodidatta, assimila con i mezzi di cui dispone la temperie culturale del tempo, quella promossa dal regime ma anche quella sottotraccia degli oppositori. E’ molto significativo che la relazione del regio prefetto di Alessandria, all’epoca del suo primo arresto a fine gennaio 1940, descriva Lucia come una ragazza di buoni principi, che si era sviata a causa delle molte, disordinate e cattive letture. Uno scambio di corrispondenza fra Lucia e alcuni giovani del milanese conosciuti recitando, che risale alla fine degli anni Trenta, sequestrato dalla polizia politica durante una perquisizione - e in corso di pubblicazione da parte di Luciano Casali e della sottoscritta -, apre uno spiraglio prezioso sulla formazione prepolitica di questa attrice non ancora ventenne. Lucia infatti si sofferma diffusamente sui libri che legge, e li scambia per posta con i suoi corrispondenti. Idealista e romantica, cattolica di formazione – anche se sostiene di avere nel frattempo perduto la fede -, aspira al bene, alla giustizia e alla pacificazione universale e predilige Mazzini e Tolstoj, Schiller, Hugo, Parini, Alfieri, Foscolo e Leopardi, ma anche la poesia bella di D’Annunzio, Il mistero di Gesù di Couchoud, Aleardi e Giusti, Pastonchi, Pascoli, Martin Eden e Il tallone di ferro di Jack London. Prima che l’Italia entri in guerra, Lucia pratica già una sua opposizione al regime ingenua e non organizzata, fatta di legami individuali e di una formazione politica ancora molto vaga. Le letture condivise in segreto dopo gli spettacoli con pochi giovani fidati verranno più tardi, fra il ’41 e il ’43, prima dell’otto settembre, dopo che Lucia era entrata nel movimento comunista clandestino. Spartivano allora probabilmente, come qualcuno di loro ha testimoniato, i più classici dei romanzi proibiti dal regime, quelli di London e La madre di Gorkij, ma Lucia racconta anche di avere tentato di affrontare l’economia politica e Il capitale di Marx. All’epoca i Sarzi combattevano la loro battaglia disseminando i copioni teatrali di messaggi sottotraccia. Enfatizzando i toni dello scontro fra il bene e il male, parteggiavano per gli innocenti perseguitati contro i tiranni e auspicavano un futuro di riscatto.
Il primo incontro documentabile fra Lucia e la rete clandestina del partito comunista avviene a Parma nel giugno 1940, anche se è ipotizzabile che qualche militante dalla provincia di Alessandria - dopo che era stata processata e condannata – le avesse fornito i nominativi degli attivisti da cercare. Lucia, consapevole dei propri limiti cospirativi dopo la malaventura piemontese, si rivolge infatti a Luigi Porcari, un dirigente del partito comunista più volte incarcerato e confinato dal regime, che gestiva, come copertura, una bancarella di libri usati nel cuore della vecchia Parma. Dei Sarzi, che nella periferia cittadina avevano installato il loro padiglione, Porcari scriverà: erano effettivamente degli antifascisti, anche se diverse loro idee erano piuttosto ingenue e assai confuse, ma – aggiunge – erano, o potevano diventare degli ottimi compagni la cui attività nel piccolo teatro, ci poteva essere estremamente utile. L’apprendistato di Lucia – nel frattempo Otello, il suo fratello minore, era finito al confino in Calabria – si compie velocemente, e vincendo la diffidenza di alcuni dirigenti comunisti che non vedevano di buon occhio il coinvolgimento di una giovane donna per di più attrice, Porcari le affida l’incarico che costituirà il contributo principale di Lucia alla Resistenza che si andava preparando. Alla fine di agosto del 1940 i Sarzi si trasferiscono in provincia di Reggio Emilia, a rappresentare i loro spettacoli da un paese all’altro della pianura e della collina. Recitano per vivere, e intanto Lucia ricostruisce la rete degli antifascisti, decimati e dispersi dagli arresti, mettendo in campo il fascino che sapeva irradiare e la sua capacità di persuasione. Senza questo suo lavoro preliminare diffuso e tenace, la Resistenza in quell’angolo di mondo avrebbe incontrato, dai primi mesi del ’44, molte più difficoltà.
Quando e come, nel corso di questo peregrinare in terra reggiana, sia avvenuto l’incontro di Lucia con Aldo Cervi – il più politicamente acceso dei suoi fratelli – non è dato sapere. Se il loro padre Alcide a metà degli anni ’50 sostiene che il partito avesse appositamente inviato la giovane attrice ai Campi rossi, lei si limita a un laconico alla fine del ‘41 conobbi i Cervi. Secondo la versione più accreditata, Aldo avrebbe assistito in piazza a San Polo – il paese in cui abitava Verina, la sua fidanzata e poi madre dei suoi figli – a uno spettacolo dei Sarzi, fermandosi dopo, com’era consuetudine, a commentare la rappresentazione insieme agli attori. Intenzionale o no, avvenuto per caso o su mandato dei dirigenti comunisti di Parma – in sede storiografica la questione è controversa, e tocca il terreno delicato dei rapporti fra i Cervi, i Sarzi e il partito comunista -, si tratta di un incontro fatale. Da lì in poi le due famiglie vivono in stretta correlazione gli eventi che condurranno all’epilogo tragico del dicembre 1943.
Oltre all’antifascismo che entrambi i nuclei esercitavano, e all’idea condivisa che il progresso passasse attraverso la conoscenza e lo studio, una certa, riconosciuta eccentricità – alla quale nessuno di loro pareva fare molto caso – accomunava le due famiglie. Sembravano fatti per intendersi. Se i Cervi erano infatti contadini di scienza, aggiornati sulle tecniche agrarie, pronti a qualunque sperimentazione che migliorasse il rendimento del podere, forti del loro essere così numerosi e capaci, incuranti dell’opinione dei vicini che al contrario non osavano esporsi, i Sarzi, considerati dei giramondo, campavano come potevano e scontavano il peso dei pregiudizi che da sempre circonda la gente di teatro. L’arrivo di Lucia – con la rete di contatti che porta con sé – rialza l’impegno politico dei Cervi, più intenso via via che la situazione in Italia precipita.
Ma l’intesa fra Aldo e Lucia doveva essere più sottile e profonda. Una sorta di affinità elettiva fra temperamenti simili. Il principale risultato da ascrivere al talento nativo di entrambi – che l’incontrarsi aveva potenziato – consiste nella loro febbrile, estesa e imprescindibile operazione di conquista alla causa, per contagio, di tante energie giovani e disposte a rischiare la vita. Sia Aldo che Lucia praticavano infatti quella altissima responsabilità della parola che faceva di loro dei formidabili promotori di reclutamento e di opposizione al regime. Fra gli attori della compagnia Sarzi, Aldo si nasconderà fra il novembre del ’42 e la primavera successiva, al tempo in cui era ricercato per reati annonari.
Sia Lucia che i Cervi erano già impegnati nella Resistenza civile al momento in cui si incontrano. La cascina dei Campi rossi diviene un riferimento fra i più importanti della zona per l’ospitalità degli antifascisti, le attività di propaganda e l’organizzazione delle azioni di sabotaggio, come l’abbattimento di un traliccio dell’alta tensione a Sant’Ilario nel 1943 e la sistematica sottrazione di beni all’obbligo dell’ammasso. Nel frattempo Lucia riceve da Parma l’incarico di accompagnare – nei loro spostamenti clandestini in regione – dirigenti nazionali del partito comunista come Arrigo Clocchiatti, Antonio Roasio e Giorgio Amendola, e di distribuire la stampa antifascista in una zona compresa fra Milano e Bologna, a seconda di dove funzionassero le tipografie segrete, servendosi delle molte compagne che aveva mobilitato, a cominciare da sua sorella Gigliola, all’epoca appena tredicenne. Quasi quasi – mi ha confidato molti anni più tardi la più piccola dei Sarzi – diventava un’avventura, un teatro anche quello lì, l’antifascismo. Agli inizi di giugno del ’43 sarà proprio Lucia a individuare nella cascina dei Borciani – una famiglia di mezzadri – a Mandrio di Correggio, il luogo adatto per impiantare una tipografia che stampasse L’Unità alla macchia. Ed è lì che insieme a Giorgio Amendola – al quale aveva fornito forse la tessera del pane di Ovidio Cervi -, comporrà il numero del giornale relativo allo sbarco in Sicilia. Se Lucia abbia portato una pedalina per la stampa anche ai Campi rossi – come afferma papà Cervi – non si sa. Di sicuro però lei e Aldo scrivevano il testo di brevi volantini contro la guerra e il regime, che qualcuno stampava – se ne conservano alcuni esemplari al museo Cervi di Gattatico – e che poi loro stessi diffondevano nelle campagne, nelle piazze di Reggio, Mantova e Viadana, nelle buche delle lettere, sotto le porte delle case, nei caffè, all’uscita dai cinema, persino nelle tasche dei cappotti appesi nei locali pubblici.
Risulta estremamente difficile stabilire le circostanze e le tappe del percorso resistenziale sia dei Cervi che dei Sarzi, i quali – da artisti girovaghi per di più impegnati in attività contrarie al regime – si spostavano molto spesso e lasciavano dietro di sé meno tracce possibili. Avvicinandosi l’otto settembre ’43, i Sarzi - che avevano installato il loro padiglione a Caprara e abitavano a villa Bibi, una casetta un po’ male in arnese ma isolata nei campi e a un tiro di sguardo da quella dei Cervi - sospenderanno le rappresentazioni e trasferiranno nel fienile dei Campi rossi tutta l’attrezzatura di scena. L’impegno loro e dei Cervi a preparare l’insurrezione, come chiedeva Togliatti da Radio Mosca, aumenterà da allora di voltaggio. Si sa di azioni rivolte a procurare armi compiute da alcuni dei futuri componenti la banda Cervi – Otello, il fratello di Lucia, alcuni antifascisti della zona, il parigiano Dante Castellucci e qualcuno dei prigionieri sovietici che si erano rifugiati ai Campi rossi dopo la fuga dal campo di deportazione di Fossoli -, come il disarmo del poligono di tiro di Guastalla a fine giugno ’43, e lo scambio fra divise e abiti civili con un gruppo di disertori austriaci che Lucia aveva individuato. Papà Cervi racconta della serata d’onore che i Sarzi avrebbero organizzato proprio a Caprara, mettendo in scena Figli di nessuno, dal dramma di Ruggero Rindi, uno dei loro cavalli di battaglia. Presenti tutti i gerarchi fascisti della zona, entusiasti della recitazione, alla fine dello spettacolo Aldo Cervi sarebbe passato con un vassoio fra gli spettatori a raccogliere denaro per i fiori alla primadonna, utilizzati poi invece per comprare rivoltelle. Quando, a ottobre del ’43, Aldo salirà in montagna con un piccolo gruppo di partigiani, Lucia sarà con loro per qualche giorno e continuerà a fare da tramite fra questa prima banda di ribelli dell’Appennino emiliano, la dirigenza comunista di Reggio – che, su posizioni più attendiste, non aveva approvato l’iniziativa di Aldo – e quella di Parma. Fallito l’esperimento insurrezionale perché i tempi non erano maturi, a novembre il gruppo di Aldo tornerà ai Campi rossi e Lucia – sull’operato della quale alcuni degli ispettori inviati dal partito nel reggiano avanzavano critiche, ritenendola non abbastanza rispettosa dei dettami cospirativi – riparerà a Parma, dove si trovava, ammalata, il 25 novembre al momento dell’arresto dei Cervi, mentre i suoi genitori fuggivano in un paese della bassa cremonese e Otello con alcuni componenti della banda cercava riparo nelle case di latitanza.
Durante i trentadue giorni della prigionia dei Cervi, Lucia, Otello e pochi compagni fidati si muoveranno continuamente fra la pianura e l’Appennino in cerca di basi per continuare a combattere, tentando invano di organizzare per la notte di capodanno l’evasione dei sette fratelli e del loro padre.
La fucilazione dei Cervi - avvenuta per rappresaglia all’alba del 28 dicembre 1943 senza processo e senza che nessuno avvisasse la famiglia – sorprende Lucia a Parma, nascosta a casa di qualche compagno. Laura Polizzi, la futura dirigente partigiana Mirka, che viveva nell’Oltretorrente ed era nipote di Porcari, racconterà: ancora adesso che ho settantacinque anni rivedo la scena tale e quale - e qui mi commuovo ancora - di quando Lucia arriva…era inverno…lei entra e scoppia in un grande pianto e dice “hanno fucilato i Cervi!”.
Lucia subisce due arresti. Il primo a vent’anni, ad Alessandria il 29 gennaio 1940, insieme alla madre Linda, a suo padre e agli altri componenti della compagnia che si esibiva in quei giorni a Castelceriolo, nei sobborghi della città. A metà gennaio il diciottenne Otello – che nel frattempo si era dato alla fuga, ma si costituirà appena saputo del fermo dei suoi – aveva infatti organizzato per posta un tentativo di ricatto nei confronti di un industriale ebreo dell’alta Lombardia, ma così maldestramente concepito da condurre in men che non si dica la polizia politica sulle loro tracce. Nel perquisire la stanza in cui i Sarzi vivevano, verranno sequestrate le lettere scambiate da Lucia con tre giovani conoscenti, uno dei quali già noto per i suoi sentimenti antinazionali. Si trattava di un carteggio un po’ sopra le righe, dal tono più letterario e sentimentale che politico, tutto sommato poco compromettente. Lo stesso verbale del prefetto testimonia di una impronta tendenzialmente sovversiva non ben definita. Ma basterà perché Lucia – che uscirà di prigione il sei marzo - i suoi corrispondenti e Otello siano condannati a due anni di ammonizione. E’ ricordando quella sua prigionia che Lucia affermerà molti anni più tardi con orgoglio di essere stata la prima donna arrestata per politica, ma si riferiva solamente alle carceri di Alessandria, non certo all’intero territorio nazionale. Lucia sarà catturata una seconda volta a febbraio del ’44, probabilmente a Casalbellotto dove aveva raggiunto i genitori, che avevano rimesso in piedi una piccola compagnia e si esibivano nel teatro parrocchiale per cercare di mantenersi. La arrestano nel corso di una retata. Uno dei prigionieri che aveva trovato rifugio ai Campi rossi, l’ucraino Nikolaj Pirmenko, conosciuto anche come Alexander Aschenko – nome di battaglia Nicolai -, già componente della banda Cervi, era stato catturato dalla GNR e aveva cominciato a collaborare, portando la milizia fascista sulle tracce di tutti coloro che aveva conosciuto e che l’avevano aiutato in quei mesi. Lucia resterà in carcere a Reggio Emilia con un gruppo di compagne fino a luglio, liberata insieme a loro forse in seguito allo scambio con alcuni prigionieri tedeschi. Tornerà quasi subito a Casalbellotto, dove nel frattempo aveva conosciuto Franco Bernardelli, il suo futuro marito, e insieme a lui raggiungerà Francesco e Linda che erano riparati in Romagna, senza sospettare che proprio lì sul Senio si sarebbe fermato il fronte quell’inverno, dopo il proclama Alexander. Ma questa è un’altra storia.